Editoriali
“Se il Dio cristiano nasce come un qualunque essere umano, se la sua dimora non è più quella gloriosa del cielo, ma quella umilissima di una grotta sperduta di Betlemme, è per segnalare che l’evento della vita è in se stesso, ovunque accada, un evento gioioso”.
Traggo questa citazione dall’ultimo corposo saggio che lo psicanalista Massimo Recalcati ha dedicato al magistero di Gesù di Nazareth: La legge del desiderio. Un’interpretazione della parola evangelica che ha il pregio di evidenziare come la sua essenza risieda nell’incoraggiare l’uomo ad aprirsi alla grazia della promessa della vita (al suo desiderio e compito).
Sì, l’evento della vita è qualcosa di gioioso. (E cerchiamo di non confondere la gioia con la felicità). Dovremmo indagare maggiormente l’evento del nascere se anche Dio – il Principio, l’Eterno, l’Infinito, l’Origine – ha deciso di farne esperienza.
E che Dio nasca non è già di per sé un sorprendente paradosso?
Ha scelto di nascere come tutti volendo fare esperienza del miracolo del venire al mondo. Senza privilegi, né rendite o eredità. Così periferico, marginale, rifiutato, povero, apolide, forestiero, espulso come uno qualsiasi, allora come molti oggi. Adamo ed Eva, per dire, quando li incontriamo sono già grandi, adulti. Dio li crea cresciutissimi.
Con Gesù non va così. Gesù è Dio che vive l’esperienza del nascere.
Nascere sembrerebbe la testimonianza più netta di chi sia Dio: generare. E generare – come suggerisce il teologo Sequeri – significa far-essere-nel-voler-bene.
Contrariamente a quello che pensiamo, nascere è ciò che ci attende, non ciò che lasciamo alle spalle. Nascere è il nostro futuro, non il nostro passato. Pur sapendo che moriremo, non si nasce per morire (semmai si muore per nascere, altro paradosso).
Si nasce per imparare cosa significa nascere. Nascere è l’inaugurazione di un apprendistato. Diciamo pure, un’iniziazione. Non siamo “gettati” nel mondo né, soltanto, “esseri per la morte”, come sussurrava qualche filosofo, pur importante (Heidegger). La sorpresa autentica è che siamo destinati a nascere. Questa è la nostra gioia.
Anche se nascere è un trauma, anche se la vita ci metterà in ginocchio e ci farà soffrire oppure non sarà sufficientemente generosa di talenti, ciò che nel più profondo di noi desideriamo è proprio questa continua promessa di venir al mondo. È sempre possibile venire al mondo. L’esperienza del nascere mette addosso all’uo- mo il desiderio di imparare a vivere. Di rimanere vivi, nonostante tutto. Non vogliamo altro e altro non ci attende. Altrimenti questo nostro esperimento umano è solo una grande illusione e la vita un’inutile passione. Il Natale porta con sé questa immensa lezione.
Dio nasce uomo affinché l’uomo impari, lui stesso, a nascere. E impari proprio da Dio a nascere, impari a nascere come ha fatto Dio in Gesù. Imparando, per esempio, ad accogliere la vita come inesauribile promessa e non come un’opprimente maledizione (o, peggio ancora, una condanna); a fare della giustizia e della difesa della dignità il senso primo e ultimo dell’investimento delle nostre migliori energie; a stare nel mondo sapendo che non sempre il mondo ti riserva un posto (infatti, questo si legge nella notte di Betlemme); a rimanere nudi per non contare troppo né sul potere né sull’avere: l’unico potere che si ha, nascendo, è servire, esserci per altro da sé, essere pro-esistenza.
È il senso dell’umano: essere dono. Per meno di questo non c’è vita, non c’è partita. Non basta essere uomini per essere umani.
Umani si diventa.
Umani all’altezza dell’umanità di Gesù di Nazareth.
E, allora, che la bellezza del suo nascere ci innamori e ci avvinca. Non ce ne pentiremo.
Capiremo che venire al mondo è il compito non solo di Dio. Ma anche il nostro.
È il bello del Natale.