Gaza, il limite è stato superato
Paolo Magri (Ispi): “Quando cose indecenti vengono fatte da un paese democratico e amico come Israele, dobbiamo avere il coraggio di dire che si è superato il limite.

“Io credo che si stia davvero superando il limite a Gaza, anzi credo che si sia già superato e mi chiedo, e non vorrei chiedermi, fra 10-15 anni dov’ero, dov’eravamo noi dell’Ispi mentre si superava il limite. Credo che non si possa essere silenti”. Credo che ci debba essere un limite alla tolleranza perché quando cose indecenti vengono fatte da un paese democratico e amico come Israele, dobbiamo avere il coraggio di dire che si è superato il limite”. L’espressione coraggiosa e senza equivoci di Paolo Magri, bergamasco, amministratore delegato e chair del comitato scientifico dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, arriva proprio nei giorni in cui la coscienza europea (e mondiale) di moltissimi studiosi, analisti, intellettuali, docenti universitari, artisti si è risvegliata per fermare l’indicibile massacro (difficile trovare un altro vocabolo) che le truppe israeliane stanno scientemente perpetrando su quel fazzoletto di terra che abbiamo imparato tutti a conoscere: la Striscia di Gaza.
I numeri parlano da soli, e non ha senso discutere se sia opportuno o meno la parola genocidio. Dopo più di seicento giorni di guerra la “banda di criminali guidata da Benjamin Netanyahu” (Ehud Olmert, premier israeliano dal 2006 al 2009) ha eliminato 54mila palestinesi, tra cui oltre 20mila bambini. È sotto gli occhi di tutti la sproporzione della risposta di Israele contro Hamas (che, ricordiamolo, nell’attacco del 7 ottobre 2023 ha ucciso 1.200 ebrei civili e sequestrato 251 persone). E tutti sappiamo perfettamente distinguere la Palestina da Hamas così come distinguiamo Israele dal suo premier. In un’intervista a la Repubblica lo scrittore David Grossman (che per altro nel 2006 perse il figlio Uri nella guerra del Libano) ha detto quello che molta opinione pubblica ebraica, in Israele, nel mondo, in Italia, ormai pensa di questo conflitto. “La guerra – sostiene lo scrittore – crea più persone belligeranti che pacifiche: è un circolo vizioso. Quelli che avevano bisogno di trovare una prova della brutalità dei palestinesi, di dare la colpa a tutti i palestinesi, purtroppo l’hanno trovata nel 7 di ottobre. All’inizio io stesso ho perso lucidità. Credo che nei primi due-tre giorni sia stato legittimo desiderare vendetta di fronte a tanta brutalità: ma non è legittimo che dopo tanto tempo un primo ministro sia guidato ancora dalla sete di vendetta.
Che cosa stiamo facendo? Come usciamo da questa situazione? Vogliamo altri cento anni di guerra? Dopo decenni di occupazione, terrore, violenza: non ci basta? Cosa vogliamo lasciare ai nostri figli: ancora odio?
Penso ai bambini di Gaza, a quello che stanno vivendo, alle bombe che cadono su di loro senza nessuna protezione. È nostro dovere metterci nei loro panni, perché quello che gli accade è nostra responsabilità. Che questa crisi sia iniziata a causa di ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre è irrilevante davanti alla sofferenza di questi bimbi e dei civili innocenti”. Il risultato è che questa guerra non faccia altro che alimentare l’antisemitismo, e non ne abbiamo proprio bisogno. Lo rileva con estrema lucidità una grande testimone ebrea, amica di papa Francesco, Edith Bruck: “Quello che accade a Gaza è molto, molto doloroso per me, e credo che sia lo stesso per tutti. Netanyahu sta provocando uno tsunami di antisemitismo, perché tutti identificano gli ebrei con il governo israeliano. Ma la maggioranza degli ebrei e degli israeliani non è assolutamente d’accordo col governo Netanyahu.
In Israele stanno protestando, ogni sabato ci sono manifestazioni contro Netanyahu, ma lui è sordo e cieco e si appoggia alla destra religiosa, che invoca la violenza in nome di Dio. Questo è terribile. Usare Dio per uccidere è una cosa mostruosa. Lo hanno fatto tutti, anche i nazisti”. Vengono in mente i ripetuti e inascoltati appelli di papa Bergoglio che lo stesso Leone XIV sta facendo suoi. Non può essere un caso che la parola “pace” sia stata la prima e la più frequente espressione di Prevost. Sui social girava un post del cardinale bergamasco Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme: “Continuano a ripetermi che devo essere neutrale su Gaza. Venite con me a Gaza, parlate con la mia gente che ha perso tutto e poi ditemi che devo essere neutrale...”. Lo scorso 24 maggio è stato chiesto di mettere un lenzuolo bianco alle finestre come simbolo di tutti i sudari che avvolgono i corpicini dei piccoli palestinesi di Gaza.
Quel bianco appeso mi ha fatto venire in mente il dipinto dell’ebreo Marc Chagall Crocifissione bianca (1938) dove il bianco è il panno che avvolge il corpo di Gesù sulla croce. E, ancora una volta, ancora di più, mi sono convinto di quello che scriveva Mario Pomilio nel suo bellissimo romanzo Il Natale 1833 (lo cito spessissimo): “Ma perché ho detto che la storia delle vittime è la storia stessa di Dio? Ma perché ogni qualvolta un innocente è chiamato a soffrire egli recita la Passione? Che dico recitare? Egli è la Passione nel senso che è Dio stesso a crocifiggersi con lui […]. E la verità è questa, semplicemente: la Croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno e il dolore di ciascuno è la Croce di Dio”.