Ripartire dal vangelo (ma raccontarlo meglio)
Il Vangelo avrebbe ancora qualcosa da dire alla coscienza se imparassimo a raccontarlo seriamente. Ce l’hanno raccontato e continuiamo a raccontarlo piuttosto male.Ripartire dal vangelo (ma raccontarlo meglio)

L’ultima ricerca del Censis, commissionata dalla conferenza dei vescovi del nostro Paese, attesta che più di 7 italiani su 10 si dicono cattolici, il che potrebbe essere una buona notizia, fatto salvo che la maggior parte vive la religiosità o la spiritualità in modo marcatamente individualista, l’unica dimensione che riconosce, seguendo il trend sociale.
Se ne stanno, però, volentieri lontani dalla Chiesa (dalle “cose” di Chiesa) soprattutto perché essa non sembra valorizzare al suo interno le grandi energie del laicato. E questo è uno dei problemi che ha occupato e sta preoccupando anche l’assemblea sinodale.
Si rivela drammatico il dato riguardante i giovani, solo il 10 percento dice di praticare, ma questo è da troppo tempo che lo sappiamo (e non abbiamo ancora trovato una soluzione praticabile).

Ho svolto finora il mio ministero pressoché in città e la città è il mio punto di osservazione.
In tutti questi anni ho riconosciuto il lento ma inesorabile assottigliarsi della partecipazione alla messa domenicale, e i praticanti sono ormai anziani. Lo dico con rispetto.

Sono molte le ragioni di questa disaffezione al cristianesimo parrocchiale, la prima delle quali è la forma-parrocchia.
I sociologici e i teologi si chiedono se la parrocchia possa ancora rispondere al bisogno di spiritualità di chi ha scelto di desatellizzarsi dalla tradizione dei padri e delle madri per imboccare altre vie, meno istituzionali, più liquide ma forse più appropriate.
Quello che non tiene più è innanzitutto il linguaggio liturgico delle nostre chiese incapace di comunicare il bello che celebra.
Non comunicano più nemmeno i simboli e i riti.
Qualche mio collega confida ancora molto sulla religiosità popolare, sulle forme devozionali che risponderebbero ancora al bisogno di sacro.
Me ne sono accorto anche qui a Colognola dove la cappellina laterale dei santi è frequentata. Ma si tratta sempre di sapere che cosa vogliamo dalla religione (e dalla nostra ricerca di spiritualità).
I cosiddetti credenti non praticanti, per utilizzare una formula comoda e comprensibile, se ne stanno alla larga dalle nostre chiese non perché sono pigri, indolenti o in cattiva fede: non sentono veri i discorsi che facciamo. E sentono il fastidio di una chiesa – anche parrocchiale – che pretende di dettare le regole del gioco soprattutto sul terreno delle sfide etiche oggi in atto.
Che sono complesse e complicate da sciogliere (e da capire). La maggioranza di chi non partecipa non è più disposta ad accettare e a firmare in bianco le posizioni della Chiesa in materia di fine vita, di fecondazione artificiale, di gestione della sessualità e dell’identità di genere.
Sono questioni così delicate che meriterebbero maggiori riflessioni da parte di tutti e il terreno d’incontro non può certo essere la dottrina (per altro non più riconosciuta) quanto semmai la condivisione di una certa idea di uomo, di vita, di mondo, di natura.
È soprattutto il terreno antropologico quello sul quale i cristiani dovrebbero elaborare pensieri condivisi.
La pretesa veritativa o assertiva delle istituzioni ecclesiastiche non funziona più così come è diventato inappropriato il muro contro muro tra laici e cattolici. Detto ciò, non temo di aggiungere che su molte questioni etiche non ho affatto le idee chiare, ma la deriva della nuova religione dei diritti individuali non mi convince (perché se un diritto non è di tutti allora è solo un privilegio di qualcuno e che qualcuno può permettersi).

Il cristianesimo parrocchiale avrebbe ancora buone chance da giocare. Se vestisse con più convinzione l’abito evangelico riuscirebbe a presentarsi ancora come credibile agli occhi di chi – se ci pensiamo bene – attende proprio dai credenti un soprassalto di umanesimo, quello ormai asfaltato dalla religione iper-consumistica, che ha fatto degli oggetti di possesso e consumo i suoi idoli: soddisferanno i molti bisogni ma lasciano anche dietro di sé molti vuoti. Il vangelo avrebbe ancora qualcosa da dire alla coscienza se imparassimo a raccontarlo seriamente.
Ho la sensazione che invece ce l’hanno raccontato e continuiamo a raccontarlo piuttosto male.