Editoriali
Il Censis, nel suo 57esimo rapporto, affronta il tema dei “nuovi diritti”, fotografando un dato che mostra anche il grado di laicità dell’Italia e come si sia modificata nel paese la visione dell’uomo e del vivere umano.
Nella loro lettura, i dati presentati dal Censis ci pongono alcuni interrogativi. La ricerca comprova: “Oggi sembra giunta a maturazione una nuova stagione di rivendicazioni, come dimostrano le opinioni espresse dagli italiani in merito ad alcune questioni dirimenti che faticano a trovare un riconoscimento ufficiale, per via legislativa”. Queste sono le opinioni degli italiani sui nuovi diritti:
- il 74% si dice favorevole all’eutanasia;
- il 70,3% approva l’adozione di figli da parte di single;
- il 65,3% è a favore del matrimonio equiparato tra persone dello stesso sesso;
- il 54% degli italiani si esprime a favore dell’adozione dei figli da parte di coppie dello stesso sesso.
- Si ferma al 34,4% il consenso di coloro che approvano la gestazione (Gpa) per contro di altri, il cosiddetto “utero in affitto”.
Le questioni su elencate, con tanto di percentuale di gradimento da parte degli intervistati, mostrano in modo inequivocabile come anche gli italiani siano in larga parte favorevoli ad una sostanziale liberalizzazione dell’eutanasia, matrimoni equiparati tra etero e gay, adozione di figli da parte di coppie omo. A ciò si aggiunge la necessità, espressa nel Rapporto, che il legislatore, a breve, intervenga con leggi nuove e adeguate. Appare così evidente come il nuovo modello di umanità che va diffondendosi esiga sempre più che noi si sia composti da monadi, individui soli, senza genealogia, senza storia, come “figli e figlie di nessuno”. Si va perdendo la memoria della propria origine, della propria identità, consegnata ad una “originalità” del momento, esibita e “postata” sui social. Si va, via via, diffondendo l’esperienza di una solitudine preclusa a quella della filiazione. Questa, infatti, viene surrogata da “altro” al fine di sentirsi generativi. Proseguendo lungo questa direzione intrapresa, andiamo assumendo un profilo da “orfani”: figli e figlie che recidono il legame naturale con i loro genitori dal momento in cui decidono di tagliare o dimenticare le proprie radici, la memoria… la storia biografica. L’uomo nuovo che in questa prospettiva è rappresentato come il buon futuro per l’umanità, non è altro che il prodotto del self-made man, uno che non si sente in debito con alcuno, ma ritiene di essersi fatto da sé, “autogenerandosi”.
Non è ancora dato di conoscere come il progetto di questa antropologia interprete dei nuovi diritti sarà definito, potremmo provvisoriamente chiamarlo “post- umano”. È un dato di fatto come questi nuovi diritti emergano prepotentemente, indipendentemente da visioni politiche differenti o valori, anche religiosi. Appare con altrettanta evidenza l’inconsistenza di una visione ideale, culturale e sociale, con proposte concrete capaci di contrastarne la prospettiva. Anche la Chiesa, “esperta in umanità”, con una tradizione che attinge all’umanesimo cristiano, sembra riconoscersi nell’atteggiamento di chi afferma: “chi sono io per giudicare?”. Con il rischio di apparire come chi accetta e fa propria qualunque scelta del mondo.
Ecco, probabilmente è giunto il tempo di riconoscerci, recuperando un’antropologia che ci faccia uscire dalle secche in cui la logica di questo modello di società ci ha condotti. Ci occorre una rinnovata antropologia dell’umanesimo del dono, della relazione e dell’ospitalità, che sappia riconoscere gli inganni e le trappole mortifere dell’individualismo e ci sveli il “cuore della vita” e in profondità il vivente. Un umanesimo del dono, della relazione e dell’ospitalità che ci aiuti a decodificare quello che sta accadendo tra di noi e in noi, un umanesimo idoneo a suggerire nuovi e inediti percorsi, orizzonti di senso.