La resurrezione è la parola folle dell’amore

Doveva essere il venerdì santo quando per la prima volta ascoltai dal grande pulpito della cattedrale di Notre-Dame a Parigi L’homme qui marche di Cristian Bobin, scrittore amatissimo in Francia, quasi un cantore mistico del quotidiano, e molto apprezzato anche da noi. Quel semplice, potentissimo, testo letterario – si legge in un amen – che parlava esplicitamente di Gesù di Nazareth senza mai esplicitamente nominarlo era accompagnato dalle note maestose dell’organo, lo stesso organo che nel Natale 1886 segnò la conversione di Paul Claudel.
ono passati quasi trent’anni, ricordo ancora quella singolare rilettura della biografia dell’uomo di Nazareth che risuonava nella verticalità gotica della cattedrale e rimbombava nella cavernosa romanicità dell’anima, forse perché mi fu subito chiaro che soltanto il linguaggio poetico – così mi avevano insegnato – ha accesso alla Realtà e può autorevolmente esprimersi parola sul mistero. Della morte e resurrezione di Gesù.
E di ciascuno di noi. Quel mistero-spartiacque della fede cristiana, di cui nessuno può pretendere di possedere il vocabolario (gli stessi vangeli sembrano più concentrati a narrarci gli effetti della resurrezione del maestro nella vita degli amici della prima ora che preoccupati di esibire le prove provate dell’accaduto), non ha mai goduto del diritto di cittadinanza nell’agorà dei saperi moderni.
La razionalità scientifica non è particolarmente interessata a spendere ricerche su “oggetti” indisponibili. Interessati dovrebbero esserlo semmai gli appartenenti, i credenti, ma la stessa letteratura sociologica, alla domanda Credi nella resurrezione?, documenta la loro eclatante perplessità: chissà se… La resurrezione – come del resto le “cose ultime” –, in un mondo che non concedendo agli umani prospettive trascendenti sul dopo preferisce invitarli a giocarsela tutta qui e adesso, la vita, risulta un capitolo del pensiero cristiano a dir poco “inattuale”. Ci sono molte ragioni, non ultima certa predicazione (soprattutto nei funerali). Bobin, dicevamo, assume un linguaggio allusivo, ma non vago, consegnando la resurrezione – che non è certo un super miracolo né il ritorno reificato del corpo – all’unica verità in grado di resistere alla morte: l'amore (o, detto altrimenti, la giustizia degli affetti e il riscatto dei nostri legami). È la verità inaudita e folle dell’amore. Nostra origine e nostra destinazione. Vi lascio al finale del testo. La chiave poetica apre la porta a più promettenti comprensioni: “I quattro che descrivono il suo passaggio sostengono che, morto, si è rialzato dalla morte. È questo indubbiamente il punto di rottura: questa storia che ha molti tratti della luce serena d’Oriente, assume qui una dimensione incomparabile.
O ci si separa da quest’uomo su questo punto, e si fa di Lui un sapiente come ce ne sono stati migliaia, pronti magari ad accordargli un titolo di principe. Oppure lo si segue, e si è votati al silenzio, perché tutto ciò che si potrebbe dire è allora inudibile e folle. Inudibile perché folle. L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte.
Coloro che ne seguono le orme e credono che si possa restare eternamente vivi nella trasparenza di una parola d’amore, senza mai smarrire il respiro, costoro, nella misura in cui sentono quel che dicono, sono forzatamente considerati matti. Quello che sostengono è inaccettabile. La loro parola è folle e tuttavia cosa valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei secoli? Cos’è parlare? Cos’è amare? Come credere e come non credere?

Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana”.
Buona Pasqua. Buon passaggio nell’amore.