Editoriali
Ed ecco in quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. (Lc. 24, 1 seg.)
Eravamo in due in cammino verso Emmaus dopo la morte di Gesù a Gerusalemme. Dei due discepoli io sono l’altro, quello che si accompagnava a Cleopa. Non vi dirò il mio nome, non ha alcuna importanza. Dentro di noi sentivamo, come anche oggi molti altri ancora sentono, tanta stanchezza e una crescente sfiducia: andavamo silenziosi, eravamo come sordi. Tutto ci appariva stantio, logoro, eravamo come avvolti dalla nebbia. Portavamo dentro di noi il peso di una comunità di credenti stanca e delusa per i mille smacchi subiti che ci rendevano impotenti difronte al riemergere degli antichi idoli, pronti a ritornare in noi, spadroneggiando sulle nostre vite, pronti a sottometterci, dopo la straordinaria esperienza con Gesù. Era necessario che così avvenisse. Da allora il viaggio continua e oggi la strada per Emmaus è popolata da una umanità in ricerca che si dirige verso la meta di una “Emmaus” nella quale albergare. Noi allora come adesso voi, lungo la stessa via. Anche quello attuale è un tempo in cui il cammino umano si è fatto difficile e incerto, accompagnato da storie di solitudini e abbondoni, di fragilità, di violenze e di rinnovate speranze, tempo nel quale condividere un progetto per un domani migliore. Bisognava allora come anche oggi ricominciare da capo.
Ma come? Cosa fare per risollevarci e portare speranza, un futuro di fraternità, legami di pace e solidarietà su questa terra? Come vincere la tentazione dell’uomo di oggi di non riconoscere e non accettare l’esperienza del limite inscritto nella natura. È sempre attuale la provocazione del serpente all’uomo: “se non puoi essere tutto, allora sei niente!”. Ma non accettare il limite, come verifichiamo di continuo, accresce le divisioni. Ed è proprio questa consapevolezza che alimenta uno spazio, libero dal sé totalizzante, in cui sarà possibile lasciarsi incontrare da Dio come anche dagli uomini. Creare relazioni come condizione prima per il riconoscimento della “mia” propria individualità.
Come agire per fronteggiare le trasformazioni epocali in ambiti che coinvolgono il lavoro, il capitale e il profitto, avvenute negli ultimi decenni del nostro cammino di civiltà? Metamorfosi che sono la conseguenza delle mutate tecnologie di produzione che hanno compiuto il superamento dell’età industriale: oggi è la tecnologia ad essere motore, “dio” del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. Così, sulla strada verso Emmaus, io e Cleopa, incontriamo un numero crescente di uomini e donne impoveriti, pur lavorando, perché coinvolti in lavori con basso valore tecnologico nei quali prevalente è l’aspetto puramente quantitativo dell’attività lavorativa. Un lavoro senza tutele, sempre più marginale perché residuale rispetto ai centri di decisione e di potere. Marginale perché il valore dei beni prodotti dipende oramai dalla tecnologia che racchiudono in sé e non già dal lavoro per produrli. Una frattura questa oggi particolarmente evidente che porta con sé limiti e contraddizioni tutti da riconoscere ed affrontare, un compito necessario per un futuro all’insegna della giustizia sociale e del bene comune.
E come far fronte all’anelito di pace ancora in frantumi? Oggi, a sessant’anni esatti dall’enciclica di papa Giovanni XXIII “Pacem in terris” facciamo nostro quanto quel testo profetico ci chiede: costruire la pace partendo dalle relazioni individuali fino a quelle internazionali. La pace concerne tutti i livelli dell’esistenza sociale, fino alla dimensione intima di ogni persona. Ciò avrà come sviluppo il parlare di un «disarmo integrale» che investe «anche gli spiriti» (n. 61). Pace come un insieme di relazioni positive tra gli individui e tra le comunità.
Eravamo in due in cammino verso Emmaus, oggi siamo in tanti in cammino verso la “Emmaus” della Pasqua. Anche se il vostro cuore è triste, come il nostro quel giorno, e tanti pensieri ci preoccupano, lasciamoci ancora avvicinare dal Risorto, pellegrino misterioso in cammino sulla stessa strada. Ascoltiamolo con fiducia mentre ci testimonia la fraternità, la solidarietà e la pace. Da questa Pasqua affrettiamo il nostro passo e chiediamogli di rimanere con noi nella “Emmaus” di questo giorno. La sera del giorno di Pasqua, ora, anche questa Emmaus ha un sussulto di resurrezione. Allo spezzare il Pane, Gesù ci manifesta la novità straordinaria della storia: ovunque saremo, Lui è con noi. Egli è il sostegno e la guida alla nostra pochezza, noi insieme con Lui a costruire un mondo più giusto e più umano.