Cattolici in politica (sì, ma per fare cosa?)
Dopo la recente convention a Milano di “Comunità democratica” torna il dibattito attorno al ruolo dei credenti in politica e nella società. La domanda è sempre la stessa: difendere i valori non negoziabili o essere risorsa culturale?

Torna puntuale, a cicli alterni, il dibattito attorno al ruolo e al ritorno dei cattolici in politica. Il confronto l’ha promosso Graziano Delrio, senatore Pd, convocando a Milano le migliori energie del cattolicesimo democratico e riformista, e con tanto di benedizione da parte del padre nobile Romano Prodi. In un’intervista rilasciata a L’Eco di Bergamo (14 gennaio) l’ideatore dell’associazione Comunità democratica smentisce categoricamente che l’obiettivo sia quello di far nascere “un nuovo partito” o di suggerire un’altra “articolazione dem” quanto semmai di “animare la democrazia” dall’interno. L’obiettivo è un altro, ed è culturale.
L’ha detto a chiare lettere al quotidiano Avvenire (17 gennaio): “Serve tornare a produrre cultura. Senza cultura non c’è politica. Meno che mai partiti veri, in grado di rispondere ai bisogni delle persone e delle comunità. La crisi della politica non si risolve serrando i gruppi dirigenti, ma riconnettendosi con i mondi vitali, con le associazioni, con gli amministratori, con chi risolve problemi importanti ogni giorno e lo fa non solo per una capacità tecnica, ma per una tensione morale, etica, per una visione del mondo”.
Se la questione è squisitamente “culturale” allora significa che la presenza dei cattolici in politica (rinunciando – finalmente, aggiungo io – alle seducenti sirene di un possibile partito “di” cattolici) dovrebbe essere una “risorsa” in grado di custodire una visione dell’uomo, della società, che non si rassegni all’idea che il mondo sia in mano a “due ricchi californiani”, ma che sia ispirata alla giustizia che si deve ad ogni uomo affinché non venga marginalizzato nei bassifondi sociali della storia, ma passeggi con dignità nelle dimore dell’umano. Una visione altra della vita che liberi gli ultimi dall’oppressione sociale e metta tutti nella condizione di assumere la vita come promessa e non come maledizione.
Non mi pare sia un programma di sinistra o un’ideologia marxista. È il buon senso universale dell’umano. Le democrazie dovrebbero servire un’idea così, altrimenti chiamiamole pure democrature. Pare stiano tornano di moda nel magniloquente panorama dell’occidente. E non è un bel segnale. Se nascerà un nuovo soggetto politico di matrice cristiana (più che cattolica) non lo immagino intento a difendere i cosiddetti “valori cattolici” (sempre che esistano i valori cattolici), quelli che una volta venivano definiti, in nome del diritto naturale, “non negoziabili”: la vita, la famiglia, la scuola. Papa Francesco ha impiegato un nanosecondo del suo pontificato a derubricare la categoria dei principi irrinunciabili. Non l'ha più rispolverata.
Lo scopo di uno movimento culturale cattolico non è difendere i propri valori – quelli della chiesa – perché i valori propri dei cattolici – lo dice l’etimo dell’aggettivo – possano essere valori di tutti. O non sono valori. I cattolici in politica ci stanno per rimboccarsi le maniche e salvaguardare quell’umanesimo che non offende l’onorabilità dell’umano che è comune. In cima all’agenda della presenza dei cattolici in politica immagino ci debbano essere le questioni delicatissime (e certamente non facili da sciogliere, in una società complessa e complicata non c’è nulla di facile da sciogliere, e semplificare non è mai una buona strategia) che decidono del senso della convivialità umana: per esempio la pace (sempre così appesa a compromessi e distinguo), l’immigrazione (sospesa agli sfiancanti “sì, però…”), la giustizia sociale (sorella minore dei diritti invidualistici?), l’Europa (fortezza blindatissima da difendere e non casa comune), la stessa idea di democrazia (sarà anche in crisi, ma non custodirla ci espone a populismi e sovranismi di ogni ordine e grado). Ridiciamolo: i cattolici non dovrebbero indaffararsi a difendere i “loro” territori, ma essere una risorsa per la costruzione del bene comune. Ci si aspetta questo da loro.